La letterina
Un racconto di Cristiano Cavina
Si è fatto spazio sul tavolone del salotto dove da alcuni mesi fa i compiti, spostando da una parte la confusione di quaderni, libri e astucci che ci regna sopra, tipo ruspa, preso da una urgenza che mai gli è capitata, a parte quando aveva ancora i Lego per giocare e gli veniva in mente da cima a fondo come costruire una nuova astronave o un castello e una volta pure una baracchina della piadina, che aveva un sacco di pezzi sparsi marroni, parevano legno e ci aveva fatto le pareti, il banco e i tavolini: per il forno e la piastra aveva usato quelli lisci grigi, pure per i frigoriferi.
Sta lì seduto un bel pezzo, con una punta di lingua tra i denti e la mano via via sempre più indolenzita. Ha un po’ di febbre, per questo è a casa anche se è mercoledì e dovrebbe essere a scuola. La mamma e il babbo sono al lavoro: ha quasi dieci anni ed è riuscito a convincerli che può sopravvivere da solo.
È la prima volta e si sente più grande.
Quando finisce appoggia la penna, la mano e il polso, adesso sì che si sentono e guarda i fogli. Ne ha riempiti tre, fitti fitti: non sono quelli di scuola, li ha presi dalla stampante del sottoscala, l’unica delle due che si è salvata. Non sono come i fogli del quadernone di italiano, questi non hanno le righe e le sue frasi a poco a poco vanno storte, scivolano giù. Non è un brutto effetto, sembrano tuffi dai trampolini. Alza le spalle e sorride.
Attraversa il salotto con cautela. Le fessure tra un listello e l’altro del parquet sono incurvate, come scaglie di chissà quale pericoloso rettile preistorico. Il legno scricchiola. Ci sono libri impilati contro una parete senza intonaco.
Il divano è rosso scuro sotto e arancione sopra, anche se prima era dello stesso colore. Vede il telecomando e fa per stravaccarsi e accendere la tv. I grandi possono guardare la tv quando gli pare, i bambini no; è una delle grandi ingiustizie della vita. Lui ora potrebbe e anche questo lo fa sentire più grande. Però l’occhio gli cade vicino al bracciolo e gli passa la voglia. Ci casca ancora, è una tale fatica abituarsi ai vuoti.
Si fa forza con un grande respirone.
Va in cucina. Un mobile usato contiene tutte le pentole e le stoviglie. Un altro mobiletto ospita la pasta, i biscotti e qualche merendina che sua mamma ha nascosto, ma lui ha già scoperto dove.
C’è un lavello da campo in metallo con i tubi di scarico a vista che sembrano serpenti e un fornello a tre fuochi con una bietta per tenerlo in pari. Della vecchia cucina resta solo l’ombra segnata sulla parete e i buchi slabbrati delle viti che la tenevano contro il muro. Prende una merendina e un succo di frutta da un frigorifero bianco tutto appiccicato di adesivi di posti in cui loro non sono mai stati, ma a lui piace guardarli e far finta di sì. Lui a parte a Pinarella in ferie o in gita con la scuola va solo su a Casola dalla nonna.
Sistema il pigiama ogni due passi, perché è di qualche misura troppo piccolo, sia di maniche che di gambe, e i bordi gli vengono su. Non ha detto niente, gli sembrava sbagliato.
Il parquet scricchiola ancora. Lo guarda. Prima si acciglia, poi sorride, poi un po’ tutti e due.
Dà un gran sorso alla cannuccia del suo succo di frutta, finché non sente quel bel gorgoglio scoppiettante di quando finiscono.
Butta la carta della merendina ma si sbaglia e la mette nell’umido. Con ribrezzo la ripesca e la sposta nell’indifferenziata dopo averci pensato un po’ su: forse andava nella plastica. Non ci ha ancora capito nulla.
Va in bagno, si lava la faccia, fa per lavarsi i denti, ma poi non gli sembra il caso di esagerare e fare il patacca, è già stato fin troppo bravo a non guardare la tv.
Sta per tornare in salotto, ma si illumina guardando fuori dalla finestra dell’ingresso. Apre la porta. La via è quieta. Tutti a scuola o al lavoro. È come essere l’ultimo sopravvissuto a una apocalisse. Ci fa un piccolo film sopra, lui è l’eroico protagonista. A metà della fantasia salta fuori che non è davvero l’ultimo sopravvissuto: ce l’ha fatta anche Lucrezia C. della 5^ E. Qui cancella di colpo tutto il sogno a occhi aperti perché ha paura anche solo a pensarle certe cose, che se qualcuno gliele legge dentro poi magari lo prendono in giro.
Sofi la gatta della vicina fa il suo giro di perlustrazione sul muro di cinta del giardino. La saluta con un cenno di capo. Non prova neanche ad avvicinarsi per accarezzarla, è una gatta dal pelo fulvo, strigna e altezzosa e lui comunque fa il tifo per i gechi a cui lei dà la caccia.
Guarda il cielo grigio di metà dicembre. Tra pochi giorni inizieranno le vacanze. Spera di guarire in tempo per tornare a scuola e salutare i compagni. Gli dispiace non vederli per due settimane. Magari potrebbe passare a salutare anche quelli della 5^ E. Scuote la testa per cancellare il film che è ricominciato in automatico da dove lo aveva interrotto.
Fa freddo.
Sa che non dovrebbe stare fuori in pigiama, che è anche malato. A sentire le mamme il semplice respirare può condannarti a una vita di sofferenze atroci e pertossi e raffreddori fulminanti. Dà una pacca sul sellino della sua bicicletta, ma piano, per non far cadere giù il poco della vernice originale che è rimasta.
Sospira. Sorride. Si acciglia.
Fissa il cielo, tipo i pistoleri nelle sfide davanti ai saloon.
Si batte un dito sul polso, come se ci fosse un orologio allacciato. Poi con tutte e due le braccia, a grandi cenni, gli fa segno di sbrigarsi. Lo mima anche con le labbra. DAI DAI DAI.
Aspetta qualche secondo. Non viene giù nulla. Ci sta. Magari domani riproverà. L’importante è aver mandato il messaggio, sempre meglio portarsi avanti per tempo. Mancano ancora dieci giorni a Natale.
Guarda oltre il cancello.
Stanno ancora lavorando alle fondamenta del condominio in fondo alla strada. Di notte sembra un buco nero tra le luci delle altre case. Ci sono davanti grossi pezzi di muro, sembrano puzzle di giganti.
Sospira. La bocca gli si piega all’ingiù. Guarda il cielo e si ribatte il polso con il dito e gli dice DAI di nuovo.
La gatta lo fissa e gli fa ‘miao’ arrabbiata. I gechi sono riusciti a scappare anche questa volta. Sorride a tutto quanto.
Rientra in casa, resiste a lavarsi i denti per la seconda volta e pure alla tentazione di accendere la tv, fa una carezza al bracciolo del divano e poi prende i tre fogli fitti fitti. Con la punta di lingua di nuovo tra i denti li piega con cura, li imbusta e scrive l’indirizzo. Appena potrà andrà alla tabaccheria, di fronte ci sono le buchette rosse delle poste e anche quella apposta per il Polo Nord.
Carissimo Natale
d’acqua non stare a portarne che quest’anno ne abbiamo già avuta abbastanza. Te lo dico così, per stare sul sicuro, non che sia un prodotto che tu tratti, ma qua non si sa mai.
Per il resto, fai te, e se proprio devi, che sia roba pesante che non galleggia: avevo un sacco di Lego ma non li voglio, perché quelli la corrente se li porta via in un attimo.
C’avevo uno scimmiotto di peluche da quando ero appena nato che chissà adesso dove sarà finito, a occhio e croce sarà arrivato a Pinarella o anche un bel po’ più in là. Spero che ne abbia approfittato per vedere il mare, che non c’è mai stato, lui stava sempre qui vicino al bracciolo del divano o nel mio letto o nella cesta dei giochi misti.
Mi sa che han fatto tutti quanti una bella gita, perché anche quella non siamo più stati buoni di trovarla, sparita chissà dove.
Non so, magari se ce ne hai uno sottomano che ci assomiglia e ti avanza, lo prendo volentieri. Aveva al collo una sciarpetta e un berrettino con il pon pon. Sempre che non serva a qualcun altro, eh.
A mia nonna su a Casola gli è franato il monte sul pollaio e anche se qualche gallinella è riuscita a sfollarla tante altre non ce l’hanno fatta. Lo so che i grandi non c’entrano nulla con le letterine, sono pigri e orgogliosi e figurati se si mettono a chiedere qualcosa, così tanto che ho la penna in mano te lo chiedo io per lei: se proprio proprio fosse possibile, qualche gallinella non sarebbe male. Il galletto Oliviero si è salvato, quindi ne bastano un paio e poi ci pensa la natura, sempre che non venga su dal rivale la volpe. Nonostante tutto, spero che se la sia cavata, perché anche nel rivale è venuto giù tutto.
Guarda che comunque per me non ci perdi. Vedrai che prima o poi nonna si fa pari con mezzo chilo dei suoi tortelli e due gavette di ragù.
Ce li avete i cappelletti al Polo Nord?
Sarebbe il suo posto da sogno, che si lamenta che non ha mai spazio per la minestra nei suoi frigo. Da te hai voglia che di spazio per congelarne ne avrebbe.
Fortuna che hai la slitta, perché con le strade che ci sono adesso in collina ti toccava travagliare un po’, anche se han lavorato giorno e notte per accomodarle il prima possibile. Comunque vai tranquillo, adesso non c’è il via vai di elicotteri dell’esercito e dei pompieri, quindi non rischi di sbatterci contro, ci mancherebbe solo quello.
Ah, quando vai su in collina, stai attento a non imbrogliarti: non so che mappa ti danno gli elfi o se usi quella del telefonino, ma dall’alto non è più lo stesso posto di prima, i boschi e le montagne hanno la faccia un po’ diversa dall’ultima volta che sei andato, quindi stai all’occhio.
Ecco.
Tutto qua.
Babbo Natale, parliamoci da uomo a uomo, come fossimo al bar a mangiare un ghiacciolo insieme: noi qua abbiamo perso un sacco di roba, nuova e vecchia, che alla roba vecchia ci guardavamo anche poco, ma adesso che non c’è più ci manca da morire. Speriamo siano tutti insieme a Pinarella a fare i patacca in riviera.
Non sto a farti la lista, che non hai tempo da perdere e non sono neanche articoli che tratti tu, mica sei Amazon o Ebay.
Noi siamo tornati finalmente in casa dopo quattro mesi che è già un bel regalo questo, anche se a mamma una cucina nuova le farebbe comodo e la libreria e la macchina, ma te dove te la metteresti tutta questa roba sulla slitta? Alle renne gli verrebbe un infarto solo per decollare.
Babbo lo so che vorrebbe cambiare il parquet, ogni tanto scherza perché dice che sotto oramai ci saranno i coccodrilli, ma non è un grande comico lui e a volte vedo che mamma invece di ridere gli scappano due lacrime e pure a lui gli trema la voce.
Volevo dirti da uomo a uomo: non stare a portarci niente.
Le cose che servono le abbiamo tutte lo stesso e ci sono i bambini del condominio in fondo alla strada che ancora non sono tornati a casa perché là le fondamenta sono andate e hanno perso anche le mutande e le biciclette. La mia si è salvata: l’abbiamo legata alla ringhiera del terrazzo, sennò anche lei a quest’ora era a fare baldoria in riviera con i miei Lego e lo scimmiotto. È ancora infangata e cigola come un treno merci, ma quel fango non va più via neanche se lo lavi, è un coso strano che non ci guarisci mai del tutto, va te a sapere.
Ma piuttosto che niente è meglio piuttosto, come dice mia nonna, che di ‘ste cose per me ne sa a pacchi.
Porta i regali agli altri, io mi arrangio senza problemi, che tanto sono grande. Mi basta solo che fai nevicare, ecco, quello sì, che un po’ di bianco dopo tutto quel marrone giallastro ci starebbe proprio bene.
Se proprio proprio resta qualcosa scompagnato, da parte mia, un regalino in più a Lucrezia C. di 5^E. Ma non dirlo a NESSUNO eh!
Tutto qua.
Ricordati le due gallinelle per nonna, se te ne avanzano. Il galletto non serve. Oliviero è in grande forma!
Qualcuno ha iniziato a dire che forse non è detto che esisti, perché nessuno ti ha mai visto davvero, ma ci sono tante robe che esistono anche se non si vedono davvero, tipo l’aria o il vento o il ripieno dei tortelli finché non gli dai un morso, quindi per me proprio non cambia niente.
Oh mi raccomando, stammi bene!
Tuo
G.