Episodio 2 | Cristina Morelli - Epatologia dei trapianti
Per alcuni il trapianto è l'unica speranza di vita. Una possibilità estrema che riguarda sempre due storie, due pazienti e le loro persone importanti. Al centro la speranza, che da un lato è ancora accesa, mentre dall'altro viene meno, per lasciare il posto alla parola che non vorremmo mai sentire: irreversibile. Il trapianto agisce su questo filo sottile per allungarlo almeno a un'estremità ed estrarre il bene più grande: un'altra vita che ricomincia. Se c'è qualcuno che può raccontarci questa tensione è la professoressa Cristina Morelli, che si occupa dei trapiantati di fegato prima e dopo l'intervento presso l'Ospedale Sant'Orsola di Bologna, dai tempi pioneristici ai successi più recenti.
Trascrizione
Specialmente Pubblici
Episodio 2 | Cristina Morelli - Epatologia dei trapianti
(rumori di ospedale, voci tratte dal film “Tutto su mia madre”, di Pedro Almodóvar)
Per alcuni il trapianto è l'unica speranza di vita. Una possibilità estrema che riguarda sempre due storie, due pazienti e le loro persone importanti. Al centro la speranza, che da un lato è ancora accesa, mentre dall'altro viene meno, per lasciare il posto la parola che non vorremmo mai sentire: irreversibile. Il trapianto agisce su questo filo sottile per allungarlo almeno a un'estremità ed estrarre il bene più grande: un'altra vita che ricomincia.
Specialmente Pubblici è la seconda serie del podcast prodotto da Regione Emilia-Romagna per rafforzare la consapevolezza che il servizio sanitario nazionale e quello regionale sono un patrimonio collettivo di grandissimo valore. Un patrimonio fatto di specializzazioni, di équipe e persone che si distinguono anche per riconoscimenti conseguiti in Italia e all'estero. Donne e uomini che hanno scelto di compiere ogni giorno un passo avanti per continuare a garantire le migliori cure a tutti, nessuno escluso.
(rumori di ospedale, voci tratte dal film “Tutto su mia madre”, di Pedro Almodóvar)
Nel '99, con l'Oscar al film Tutto su mia madre, anche il mondo dei trapianti entra nel nostro immaginario, con tutta la grazia e l'umanità di cui Pedro Almodóvar è capace. Protagonista è una donna, che lavora nel Centro trapianti di Madrid, un luogo di cui impariamo a conoscere le profondità. Nello stesso anno, il '99, nel nostro paese viene istituito stato il Centro di riferimento nazionale, anche grazie all'esperienza maturata dalla Regione Emilia-Romagna e dal Sant'Orsola, che nel '97 aveva creato il primo CRT in Italia. Se c'è qualcuno che può raccontarci questa storia è la professoressa Cristina Morelli, oggi a capo della Medicina interna per il trattamento delle gravi insufficienze d'organo. In parole semplici, si occupa dei trapiantati di fegato prima e dopo l'intervento, dai tempi pionieristici ai successi più recenti.
Cristina Morelli, Medicina interna per il trattamento delle gravi insufficienze d'organo - Il lavoro che avesse una forte componente di relazione con le persone è sempre stato un punto fondamentale del mio percorso. Io sono nata a Bologna, sono proprio nata al Sant'Orsola, quindi sono una persona che fin da giovane ha visto il Sant'Orsola come, abitavo anche molto vicino a questo, come uno degli snodi fondamentali della nostra città. Non è stato facile, ma perché è un lavoro che richiede, che non ha orari, che non ha giorni di stop, non puoi rimandare un trapianto. Come sono arrivata a questa attività? Beh, io ho cominciato in una gastroenterologia ed erano i primi anni in cui si cominciava ad affrontare il trapianto di fegato e sono andata in Belgio, a Bruxelles, dove c'era uno dei centri europei più importanti di trapianto, soprattutto di trapianto pediatrico. E devo dire che nei primi anni '90 il gruppo del Belgio mi ha tenuto per mano e ho portato per anni i pazienti ad essere trapiantati in Belgio, molti di loro sono ancora vivi, stanno bene. E mi ricordo questi viaggi in cui accompagnavo il paziente al centro trapianti di Bruxelles. E devo dire che lì è nata proprio questa passione. A Bologna avevamo iniziato, appunto, in quegli anni e quindi ho cominciato a seguire i pazienti per prepararli al trapianto, nella fase intraoperatoria e fase postoperatoria. Quindi ho cominciato proprio da giovanissima a lavorare in questo ambito.
Tecnicamente la sua specializzazione è quella di epatologa dei trapianti.
Morelli - La figura dell'epatologo dei trapianti, cioè di questa figura che conosce le malattie epatiche ma sa trattare anche tutte le complicanze dopo il trapianto e la terapia immunosoppressiva, è un nuovo lavoro, diciamo. Abbiamo cominciato noi, ma stiamo cercando appunto di dare a questa figura professionale una sua specificità, una sua caratteristica che gli permetta proprio di rispondere al meglio alle necessità di questi pazienti che sono sempre di più e che meritano, dopo un percorso così complicato, meritano di avere una vita poi veramente ottimale dal punto di vista della propria performance fisica, intellettuale, culturale, spirituale.
Cartelle cliniche sempre più complicate, così come gli interventi che però, grazie all'evoluzione della ricerca e alle tecniche mini-invasive, diventano sempre meno impattanti per il paziente dal punto di vista della ripresa post-chirurgica.
Morelli - Ho vissuto tutto il successo degli antivirali per l'epatite B, per l'epatite C, che ci hanno permesso poi di debellare questa malattia e di avere sempre meno pazienti che avevano necessità di trapianto, ma soprattutto che nel post-trapianto potevano essere curati senza più preoccuparsi di queste malattie, un po' quello che gli infettivologi hanno vissuto negli anni precedenti per le malattie ad HIV, noi lo abbiamo… Io ricordo benissimo il primo paziente che ha ricevuto gli antivirali per l'epatite C dopo trapianto e che è andato benissimo. E ricordo molto bene anche il paziente che non lo aveva ricevuto prima, proprio perché ancora non c'era. Quindi abbiamo vissuto un po' tutte queste fasi, questi successi che ci stanno portando a proporre il trapianto a pazienti sempre più complessi.
La dottoressa ha lavorato a lungo con il professore Antonio Pinna, un protagonista della storia dei trapianti. Il reparto del Sant'Orsola era stato scelto nel 2009 per un docu-reality sperimentale che alcuni ricorderanno con l'obiettivo di far percepire l'importanza delle donazioni. Tra quei volti anche la dottoressa Morelli, sempre in prima linea. Perché il Centro trapianti di fegato dell'Ospedale Sant'Orsola è considerato un'eccellenza? Cosa vi accade di speciale?
Morelli - È il modo che abbiamo e la modalità con la quale abbiamo deciso di impostare quasi vent'anni fa questo tipo di lavoro. Vent'anni fa, insieme al chirurgo dei trapianti, che allora era il professor Pinna, abbiamo deciso insieme di unire le forze nel senso più vero della parola, nel senso di unire proprio il reparto medico e chirurgico. Io andai col mio camice a lavorare nel reparto chirurgico dei trapianti e della chirurgia epatobiliare e lì cominciammo a seguire i pazienti fin dalle fasi pre-trapianto, nelle fasi in cui la malattia di fegato diventava molto seria e aveva necessità di ricovero del paziente, fino al trapianto. E per tutta la fase successiva, quando il paziente viene, in qualche modo, torna a casa, ricomincia la sua vita, sicuramente una vita diversa, ma una vita che può essere una vita di ottima qualità - quando il paziente viene seguito bene e viene informato bene su cosa deve fare.
L'approccio è sempre multidisciplinare, che si tratti di una persona sottoposta a intervento chirurgico o di un paziente che debba ricevere terapie mediche per la sua malattia epatica.
Morelli - Noi facciamo circa 120 trapianti di fegato, vengono fatti nella nostra unità operativa altrettanti trapianti di rene, moltissimi interventi di chirurgia epatobiliare e siamo un centro di riferimento per i pazienti che hanno malattie di fegato, non solo per la nostra regione, ma anche per tutta Italia. Soprattutto abbiamo molti pazienti che vengono dal sud. È diventato molto importante anche il supporto sociale, chiamiamolo così, o il supporto legato alle necessità che queste persone che arrivano magari da altre regioni hanno. E quindi in questo abbiamo un aiuto molto importante da parte dell'associazione di volontariato dei pazienti trapiantati di fegato, che è presente sempre, costantemente nei reparti e negli ambulatori, ma soprattutto abbiamo avuto negli ultimi anni un aiuto molto importante da parte della Fondazione Sant'Orsola. La Fondazione Sant'Orsola ha aperto strutture di accoglienza per i parenti e per i pazienti che devono rimanere a Bologna.
Il paziente che è stato sottoposto al trapianto viene tutte le mattine visto, valutato, curato da un’équipe mista che comprende il chirurgo, il medico patologo, l'anestesista, lo psicologo, l'infettivologo e anche il fisiatra e il fisioterapista. Questo perché, ci spiega la professoressa, la malattia di fegato è una malattia a 360 gradi.
Morelli - La possiamo considerare una sindrome che compromette in maniera importante tutte le funzioni dell'organismo. Non solo mette in evidenza la fragilità fisica, ma il paziente è un paziente anche estremamente debilitato dal punto di vista neurologico. Se lei parla con un paziente che sviluppa le complicanze di una cirrosi, ti dice che è stanco, è confuso, non riesce più a fare le cose che faceva prima, le sue capacità di relazione vengono estremamente compromesse. Tutto questo, dopo il trapianto, piano piano deve ritornare. E perché questo torni il paziente ha bisogno di tante figure professionali che lo aiutino, quindi non solo il medico, l'internista, l'epatologo che decide bene qual è la terapia immunosoppressiva, non solo il chirurgo che guarda che l'intervento sia andato bene, ma necessita di uno psicologo che lo aiuti a rientrare nella sua vita di relazione, che magari è stata interrotta per molti anni.
Pazienti molto fragili, che necessitano di un investimento elevato in termini di attenzione, competenze e risorse.
Morelli - È un terreno che va tenuto, coltivato in maniera attenta perché le nuove tecnologie costano e c'è bisogno di continuare a formare professionisti, medici, infermieri.
Come possiamo garantire tutto questo? Sappiamo di essere in un momento in cui si rischia di non avere adeguate risorse.
Morelli - Da parte dei professionisti bisogna cercare di - parlo di medici, infermieri, di essere attenti e mantenere, come dire, la barra alta e di non perdere attenzione e entusiasmo.
E a chi ci governa cosa dobbiamo chiedere?
Morelli - Da parte di chi ci governa è necessario sapere che il sistema sanitario nazionale è la cosa più preziosa che abbiamo in questo Paese.
Quest'anno l'Emilia-Romagna è la Regione che ha avuto il numero più alto di donatori, quindi l'attività di trapianto sta aumentando in maniera veramente importante. Ed è difficile per l'organizzazione espandersi continuamente rispetto alle necessità. Bisogna trovare e studiare modi di lavoro che permettano di ottimizzare le risorse, che sicuramente in questo periodo non sono al massimo delle loro possibilità.
Morelli - Ed è un mondo in cui tanto ancora c'è da scoprire. Quindi devo dire che dove sono arrivata adesso, dopo tanti anni di questa attività, il mio compito in questo momento è proprio trasferire questo tipo di curiosità e di entusiasmo.
In questa regione sono due i centri trapianto per il fegato: uno al Policlinico Sant'Orsola e l'altro nell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Modena. Entrambi fanno grandi numeri e hanno saputo portare questa Regione ai massimi livelli in ambito donativo.
Morelli - Credo che, come diciamo sempre quando discutiamo di questi problemi, l'attività donativa e il consenso alla donazione nascano dalla fiducia che i cittadini hanno nel sistema sanitario che li circonda. Se tu hai avuto un buon rapporto con le strutture sanitarie, ti sei sentito accolto, ti sei sentito curato quando hai avuto bisogno, nel momento in cui hai un evento così tragico come quello della morte di un parente, di una persona vicina, l'istinto – io credo sia un istinto – l'istinto di aiutare, di dare un seguito a questo momento così tragico viene proprio naturale, istintivo.
Le donazioni ci fanno capire quanto la fiducia dei cittadini nei confronti del sistema sanitario sia un patrimonio importantissimo.
Morelli - Si fa molto presto se il rapporto col cittadino che necessita di una prestazione sanitaria perché ha bisogno in quel momento e gli viene data in maniera sanità fredda, frettolosa, distante, beh, questo resta un solco nella vita di quella persona che in un momento di fragilità ha avuto bisogno. E questo si riverbera poi nella capacità che il cittadino ha nel momento in cui gli viene chiesto se acconsente alla donazione.
E dunque che cos'è la sanità pubblica?
Morelli - Per me la sanità pubblica è la cosa più preziosa che abbiamo in Italia. È il luogo dove si concretizzano quegli ideali di solidarietà, di cura dell'altro, e nella maniera più oggettiva e più concreta possibile. Quando un paziente ti dice: “io sono arrivato qui e mi sento accolto, mi sento tranquillo adesso che sono qui”, secondo me è la rappresentazione più concreta di che cosa deve essere il rapporto fra le persone.
Specialmente Pubblici è un podcast prodotto da Regione Emilia-Romagna. Direzione artistica e voce narrante sono di Mimma Nocelli. Il progetto editoriale è di Homina Comunicazione. Postproduzione e sound design sono di Fonoprint.