Trascrizione

[Silvia Avallone]

L'otto marzo è una giornata fondamentale che dura tutto l'anno, che dura sempre, ma oggi secondo me non si può non pensare alle donne che stiamo vedendo. Restare, resistere, combattere in Ucraina oppure andarsene per mettere in salvo i figli? Non possiamo non pensare. Donne che in Russia scendono in piazza per protestare contro la guerra vengono arrestate. Questo conflitto ci sta ribadendo il ruolo delle donne nella storia e la loro gigantesca resistenza.

[VOCE NARRANTE]

La voce che avete appena sentito è quella della scrittrice Silvia Avallone.

Non potevamo infatti iniziare questo racconto senza pensare alle bambine, alle ragazze e alle donne ucraine in fuga dalla guerra o che stanno resistendo per difendere la democrazia e la libertà della loro terra. Il nostro primo pensiero va a loro, con la speranza che possa presto scoppiare la pace.

Ti racconto l’Emilia-Romagna è il podcast a cura dell'Agenzia di informazione comunicazione della Regione. 8 marzo, Giornata internazionale della donna, il titolo di questa puntata è Il pavimento di cristallo dell’Emilia-Romagna e le storie di donne straordinarie.

È come se sulla testa delle donne ci fosse un soffitto di cristallo che impedisce loro di salire e raggiungere posizioni di rilievo in qualsiasi ambito. La metafora del soffitto di cristallo parla di una difficoltà reale, antica e purtroppo ancora attuale, nonostante le tante conquiste nel campo dei diritti civili e politici femminili. La Giornata internazionale della donna è come un asterisco sulla linea del tempo, che ogni anno ci chiede di fermarci per riflettere su ciò che ancora manca per arrivare a una reale parità di genere, ma anche su tutto quello che è stato raggiunto. E le storie che abbiamo scelto di raccontarvi parlano proprio di questo. I successi di quattro donne emiliano-romagnole che quel soffitto di cristallo se lo sono messe sotto i piedi.

Con noi ci sono la cantante Orietta Berti, la coach della nazionale femminile, e coordinatrice delle nazionali femminili Milena Bertolini, la chef fondatrice della Vecchia Scuola Bolognese delle sfogline, Alessandra Spisni, e la scrittrice bolognese d'adozione Silvia Avallone.

Orietta Berti, partiamo da te, la tua carriera inizia all'inizio degli anni ‘60 a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, dove sei nata. Come hai cominciato a cantare?

[Orietta Berti]

In Emilia alla gente piace cantare. In quel periodo c'erano tantissimi concorsi e io andavo anche all'insaputa di mio papà. Quando ho fatto il secondo concorso che sono arrivata nella finalissima, ho conosciuto Giorgio Calabrese. Venne a parlare con la mia mamma, perché poi mia mamma diceva che non dovevo fare questo lavoro perché a quei tempi – non so se solo in Emilia- cantare non era considerato un lavoro, ma un passatempo.

[VOCE NARRANTE]

Restiamo nel reggiano, terra d'origine anche di Milena Bertolini. Dopo una brillante carriera calcistica e 15 stagioni nella massima categoria, dal 2017 guida la nazionale femminile. Milena, facciamo un salto indietro. I tuoi inizi ci portano a Correggio negli anni ‘70, unica bambina nel campetto da calcio.

[Milena Bertolini]

Io giocavo con i miei amici, però ero l'unica ragazza, mi facevo passare da maschio, mi ricordo che non so, che mi facevo chiamare con un nome da maschio, avevo i capelli corti. Ero piccolina, quando poi hai 10 anni, 9- 10-11 anni non si capisce bene se sei maschio o femmina. Perché poi tutti i miei amici volevano che giocassi. E lo stesso allenatore mi ricordo che disse se non gioca lei non giochiamo neanche noi, quindi questa, diciamo, è stata la mia prima squadra. Però quella dove ho partecipato a un campionato femminile, è stata la Correggese, mi ricordo questo particolare che la più grande aveva 31 anni e io, che ero più piccola, ne avevo 13, quindi il 31 ribaltato.

[VOCE NARRANTE]

A Bologna è nata e cresciuta una chef affermata che per anni si prende il titolo di ‘Mattarello d'oro’ come migliore Sfoglina d'Italia. Nel 2000 capisce che il mestiere della sfoglina non esiste e va inventato. E così Alessandra Spisni fonda la Vecchia Scuola Bolognese, prima e unica scuola che insegna l'arte della sfoglia ad allievi provenienti da tutto il mondo.

[Alessandra Spisni]

Quando io ho lavorato per i ristoranti, nei ristoranti facevo anche la pasta fresca. Avevo poi una signora, la nonna del titolare, una volta un'altra signora anziana, la zia di qualcuno. Erano sempre donne che arrotondavano e facevano, portavano all'interno del luogo, cioè della professione, una parte di casa. Non si è riusciti a sviluppare la professione molto, perché i cuochi dovevano sentirsi, dovevano rimarcare, dovevano crearsi il podio. La verità è che senza la figura della sfoglina il cuoco, può essere bravo finché vuoi, può fare dei ragù stupendi e dei brodi meravigliosi, ma cosa butta dentro? La prima sede fissa l'abbiamo fatta nel 2000. Andare in Camera di Commercio, all'AUSL a dire che volevo fare questa cosa, la risposta era ‘no’ non si può. Allora è una rosticceria, ‘no’, allora è un ristorante, ‘no’. E allora un laboratorio artigiano, ‘no’. Sempre no, ma io pensavo che se non è al primo giro, non è al secondo, c'è che ci vuole tenacia. Se credi in quello che stai facendo bisogna che non ti fermi, perché se ti fermi al primo ‘no’ sei finito.

[VOCE NARRANTE]

Silvia Avallone è nata in Piemonte, a Biella, ma arriva in Emilia-Romagna per studiare filosofia all'Università di Bologna, a pochi esami dalla laurea, in studentato, si mette i tappi nelle orecchie per non sentire nulla, isolarsi e scrivere. Sta scrivendo qualcosa di molto importante e lei lo sa. Un romanzo che sarà tradotto in 25 lingue, vincitore del premio Campiello opera prima, del premio Flaiano Fregene, premio Città di Penne e secondo al Premio Strega nel 2010: ‘Acciaio’.

[Silvia Avallone]

Mancavano due esami alla laurea, ma io ero così spaventata da quanto ci sarebbe voluto prima di avere un lavoro fisso, un lavoro certo, uno stipendio che mi avrebbe permesso appunto di restare a Bologna Così ho tentato in qualche modo la strada folle perché sapevo che l'insegnamento in una scuola pubblica, che era il mio sogno tra virgolette normale, aveva bisogno ancora di tanti anni e così, un pochino anche colta dalla follia dei vent'anni, anche dal coraggio spudorato che abbiamo a quell'età, ho iniziato questo romanzo, è stato proprio osare, è una cosa che dobbiamo sempre, veramente, sempre fare. Il punto però è davvero provarci con impegno, rischiando, non aver paura anche di azzardare. Per me quell'azzardo è stato importante, però è stato anche un po’ importante tornare a Bologna, finire l'università e radicarmi in questa città coi due piedi ben piantati in terra.

[VOCE NARRANTE]

I piedi ben piantati in terra, una terra che fa da trampolino a carriere diverse ma ugualmente importanti. Orietta Berti incontra il sostegno di un produttore che nel 1965 la porta a firmare un contratto con la casa Discografica Philips. Tua madre ha dovuto ricredersi perché da quel giorno la tua carriera non si è più fermata e sono passati più di 55 anni. Orietta, tu ricordi spesso tua madre, che ruolo ha avuto nel tuo percorso?

[Orietta Berti]

Nella mia mente dell'infanzia c’è sempre casa mia, che il mese di aprile era piena di carta rossa e di cordicelle perché la mamma fabbricava centinaia di migliaia di bandierine rosse per il 1maggio e, oltre alla mimosa l'otto marzo e oltre al garofano rosso per il 1maggio, c'era una rivista settimanale che si chiamava ‘Noi donne’, era una rivista francese. Mia mamma la vendeva addirittura alla pesa pubblica perché lei gestiva la pesa pubblica del nostro paese, Cavriago.

[VOCE NARRANTE]

Silvia, nel tuo ultimo romanzo un'amicizia, edito da Rizzoli, affronti temi molto intimi come le rinunce e il dolore delle madri e il loro fondamentale ruolo per costruire l'identità delle figlie femmine. Che madre hai avuto tu? E, dato che anche tu hai una figlia, che madre sei?

[Silvia Avallone]

Sono la madre difettosa e imperfetta come tutti noi, perché davvero dobbiamo liberarci di questa icona della Madonna col bambino. No, appena noi mettiamo al mondo dei figli, siamo subito sotto esame. I nostri figli hanno bisogno di vedere che siamo felici, che facciamo anche altre cose, che siamo presenti, che li amiamo incondizionatamente, ma che la nostra identità resta un'identità diversa dalla loro. Mia madre mi ha insegnato la parola fondamentale, la parola indipendenza, mi ha sempre detto “Tu puoi innamorarti, sposarti, fare figli. Però la cosa fondamentale è che tu studi, che tu abbia un lavoro, che tu abbia la tua indipendenza, la tua libertà che nessuno potrà mai toglierti”. E io mi rendo conto che questo è anche l'insegnamento fondamentale che desidero trasmettere a mia figlia.

[VOCE NARRANTE]

Esempi, esordi e poi il viaggio Alessandra, il tuo percorso è sempre stato regolare, naturale o hai dovuto importi per affermare il tuo ruolo?

[Alessandra Spisni]

Quando arrivavano i nuovi cuochi in cucina e sei a capo della brigata hai la responsabilità di tante persone. Ecco io ero chef e i nuovi che arrivavano mi chiedevano, e lo chef quando lo incontro? Eh, bello mio. Arriverà, cioè non mi sono mai presa neanche la briga di stare a spiegare come stavano le cose, perché se sei sveglio lo capisci, se non sei sveglio saluti e baci. Ecco.

[VOCE NARRANTE]

Orietta, la tua storia professionale è ancora diversa, anzi tuo marito dopo tre anni ha lasciato il suo lavoro per seguirti.

[Orietta Berti]

Osvaldo ha sempre lavorato dietro le quinte perché il successo di una persona, sia maschio o femmina, non è dovuta soltanto a questa persona. Ci sono i collaboratori intorno che fanno sì che questa cosa diventi un successo. Nel settore non vedo differenze. Se una donna di successo ha un cachet nelle serate ha il tot percento sulla discografia. E un cachet anche televisivo, a volte ci sono degli uomini che hanno meno successo, prendono meno, è logico.

[VOCE NARRANTE]

Milena, nello sport, nel calcio in particolare, la battaglia per il raggiungimento di una reale parità è ancora lunga, perché?

[Milena Bertolini]

È difficile. Penso che il calcio sia l'ultimo baluardo che gli uomini stanno difendendo fortemente dall'avvento delle donne. Le donne fanno fatica a entrare, cioè io penso alle allenatrici che ci sono, cioè basti pensare al campionato maschile di serie A, serie B, professionistico, non c'è una donna all'interno degli staff tecnici. Il pensiero medio è che una donna non può capire il calcio, che una donna che fa calcio è sicuramente una donna strana e che le donne fondamentalmente non capiscono di tattica, di tecnica. E questo è un po’ il pensiero comune. Quindi di strada ce n'è, c’è ancora tanto da fare e la dimostrazione è che la nostra presenza è praticamente zero. E qua si parla di una parità di diritti, perché se dovessimo parlare di parità di ingaggi siamo lontani ancora anni luce.

[VOCE NARRANTE]

L'educazione alle scelte, anche la fortuna, certamente. Poi il lavoro, il talento e la passione. Quello che siete riuscite a diventare è la somma di molte cose. Poi nelle vostre storie c'è un altro denominatore comune, è la terra, il pavimento di cristallo che vi ha in qualche modo lanciate o portate per mano. Quanto c'entra la Regione Emilia-Romagna con il vostro successo?

[Orietta Berti]

È una mente, quella degli emiliano-romagnoli, diversa da quella degli altri. Siamo aperti, curiosi, quindi c'è modo di creare, di sentire, anche se a volte lo devi fare con le unghie fuori, coi denti. Fuori però arrivi sempre a trovare l'interlocutore.

Un'altra cosa che ha l'emiliano, me ne sono accorta in tutti questi anni, è che non è permaloso. Nel nostro ambiente musicale c'è quella specie di invidia… Ecco, noi non ce l'abbiamo nell'animo. Non è che noi ci arrendiamo, vogliamo anche noi arrivare come arrivano gli altri, ma non con l'inganno. Prima ci rimbocchiamo le maniche e poi dove arriviamo, arriviamo.

[Silvia Avallone]

L’Emilia-Romagna ha realizzato tutti i miei sogni e devo dire che ho un'enorme gratitudine per questa regione e per questa città. Perché è davvero una città che ti accoglie ovunque o da ovunque tu arrivi, Bologna ha le braccia spalancate e ti fa una promessa. È davvero una città che al proprio centro non ha le vetrine dell'apparenza, ma ha i libri che per me saranno sempre strumento di libertà.

[VOCE NARRANTE]

Io sono Cinzia leoni. E io sono Elisa Ravaglia. E questo è Ti racconto l'Emilia-Romagna, il podcast a cura dell'Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna.