Poesie - Beatrice Zerbini
10 poesie selezionate da Beatrice Zerbini per la giornata internazionale della donna 2025
1.
I
Sento chiamare il mio nome
e lo so che non sono io.
Lo so,
ma mi viene da voltarmi, io
sono le gemme,
i trucioli di matita per terra,
la guerra, la pista
da ballo;
sono la dermatite sulle mandibole, l’odore
di cloro, la neve,
i merli maschi, con il becco arancione
e le punte
degli ombrelli chiusi;
sono il parto,
sono venuta al mondo.
Sto appesa al mio corpo e sono
una che si volta.
II
Sono il mio cielo e
non mi annuvolo;
splendo, prima che faccia sera
e faccio sera.
III
Sospendo l’intenzione, il passo.
Chi mai potrebbe chiamarmi,
che non aspetto nessuno?
Non mi aspetto niente dalla strada,
non mi aspetto niente dai giorni,
niente dall’amore,
niente dalla vita intera che
mi traina, spinge, affossa, che
mi solleva,
che mi guarda di sbieco e da davanti;
solo tempo – mi aspetto e spero –
e il senno
e la voglia per salvarmi
ce li metto da me.
Mi volto perché
sono proprio io, comunque.
Brindo con lo sguardo
al disconoscermi,
brindo a negarmi, no:
non sono io. Mi giro e brindo.
C’è da festeggiare.
Ho le orecchie e vivo.
©Beatrice Zerbini Da D’amore (ed. Interno Poesia)
2.
Sento, se mi guardi dal buio
(di stare insieme, la notte),
il lampo,
il tuffo esatto in cui
la signora immerge il piede nel mare
e ha un sussulto;
l’applauso profondo da un fondo
di platea;
lo scoppio, il boato, lo slancio.
Sento il freddo,
l’abisso, ma anche
la mollezza
che separa gli oceani dai cieli:
ce li hai,
me li dai.
Sei,
sulle pupille così puntate e puntute,
materia
che indora le caviglie,
come un cerchio d’acqua.
Più di ogni altra cosa,
sei,
quando mi sei
accanto, nel buio e mi guardi:
e siccome è salire sul treno in ritardo,
atteso da in piedi,
io cerco, nel tuo sguardo,
la tana, il respiro, il rimedio:
mi trasfiguri e
sono
fra l’apnea
e lo svegliarsi in un Maestrale.
Quando abbassi le palpebre,
invece,
lo spazio è immenso e chiamano
da tutti i microfoni
che hanno perso una bambina:
eccomi.
Cerco, tra la mia veglia ed il tuo sonno,
la strada per non sentirmi sola
ad aspettarti,
domani.
Ti scruto come un soldato,
una guardia che si chieda
quando tornerai in questo paese vigile,
ché qui ti si attende per l’armistizio.
Riapri gli occhi alla fine,
ti svegli,
ed è mattino;
sento, se mi guardi dalla luce
(di lasciarti di giorno),
soltanto la mano.
©Beatrice Zerbini da In comode rate. Poesie d’amore (Ed. Interno Poesia)
3.
Esco,
vado a portare
fuori il dolore.
©Beatrice Zerbini Da Quarantadue (Collana Gialla Oro, ed. Samuele)
4.
Ti lascio all’amore pensato,
l’amore ti lascio,
da ammirarlo sul suo altare:
ti lascio
guardarlo senza toccare;
ti lascio
le parole, l’idea,
l’illusione che adesso
debba ancora arrivare,
ci sia un tempo diverso
da ora e ogni istante,
un tempo diverso
per amare,
non puntuale.
Io vado a fare e
faccio
che vado,
perché ho giusto qui
una vita, qui
un cuore.
E mi pare
si muoia più a non vivere
che a morire.
©Beatrice Zerbini Da D’amore (ed. Interno Poesia)
5.
Arrossa come sangue
vivo, l’epilogo dei blu:
del cielo, del mare, degli occhi,
fa’ coltre, fa’ sonno, fa’
tu;
poi sbianca, depriva, smungi,
fai torpidi
i giardini dei circoli;
finiscici,
in fuga dai tendoni burrascosi;
chiudici
dentro alle vetrine dei bar,
a scampare il disastro di un metro;
prendi
i bambini da dietro
i cancelli di scuola,
lascia che
s’infanghino i garretti,
sporca, raffredda, zittisci.
Piovi, ingrigisci, sciogli
le foglie sotto
alle suole;
strappa di venti per strada
il velo alle suore.
Ridi nel mosto,
mettici
i frutti nei piatti;
sii autunno, senza
vergogna, tripudio
di niente, preludio
al finire; per quanto
difetti
di gemme, sii
perfettamente autunno.
Qualcuno ti amerà pure,
senza che sbocci,
senza tu splenda,
senza tu dia,
ché tutto prendi;
lo avrai un fiorire tuo
che non ti vedo io,
la tua
stagione degli amori, in te,
come anche il morire dovrà pure
da qualche parte
cominciare.
©Beatrice Zerbini Da Mezze stagioni (ed. AnimaMundi Otranto)
6.
Penso,
mentre arrivi:
Potremmo dividerci
le vite -
io e te,
un plurale
di prime persone.
Penso -
Sapremmo.
Potremmo ascoltare le sveglie
delle case degli altri;
essere noi i vicini
di fianco;
essere noi “loro”,
un nucleo di pigiami stesi fuori.
Sappiamo,
io e te,
indurire i limoni, nello stesso,
comune frigorifero:
ammuffiamoli;
amiamoci,
ammutoliamoci,
con i baci agli angoli
della bocca,
appena possiamo!
Caffè e cappuccio,
noi due,
un tutt’uno,
di mattini opachi,
freddi non più
del freddo
di due freddi
di città diverse.
Facciamo cose
con la lettera m,
ma senza morire:
mugoliamo,
sul collo;
meritiamo-
ci;
mescoliamo
i corpi;
misceliamo
i sussurri;
mangiamo;
modelliamo le mani,
a forma di carezza;
misuriamo
le parole;
meditiamo un modo
per non fare
male
quasi mai.
Ti aspetto e rimugino,
mentre arrivi.
Quando arrivi?
Te la immagini una vita,
con me,
con noi?
Dividi la distanza
e moltiplica per due.
In attesa di essere collegata con l’interno desiderato,
pin e tasto verde,
grazie,
prego;
poche scuse,
se possiamo,
viviamo.
Amore.
Arrivi.
Abbracciamoci.
Allontaniamoci
insieme
dalla linea gialla.
©Beatrice Zerbini Da In comode rate. Poesie d’amore (ed. Interno Poesia)
7.
Non ho bisogno di te
per sentirmi sola.
Mi basto da me,
posso farlo da sola.
©Beatrice Zerbini Inedito
8.
Sei tu le parole, sei tu le piazze vuote,
le braccia ai fianchi nella resa
e l’indignazione
e il riverbero,
zitto di bocca in bocca.
E sei tu le piazze piene,
le braccia alzate nella lotta
e il riverbero che suona dalla tua bocca alla mia bocca.
A volte sei nel vento che soffia
e vorresti
ti portasse via
e sei il vuoto
e sei l’immane solitudine,
la senti, quando ancora ti pieghi sui piatti,
sul bianco dei muri,
sulle parole non dette,
su quelle che sono schiaffi
e che più degli schiaffi
fanno male;
ma la tua bocca è la nostra bocca,
può parlare di vero amore,
sa amare davvero,
prega al buio, parla al buio.
alla piazza, al riverbero, al vuoto
e parla all’uomo.
Sei tu il silenzio, a volte,
la compostezza di questa stagione che senti mancare,
con le sue fioriture ovattate come nevi,
oltre la finestra chiusa,
che pensi che basti chiedere scusa,
tu che hai mille possibilità
e credi di non meritarne una;
sei il corpo, la nostra casa,
le cose dentro, le cose fuori,
la nostra paura, la nostra cocciuta propensione a respirare, a sorridere, a camminare,
anche quando fa male
sei l’afflato, lo stringersi della notte,
non sei le botte;
la voglia che hai di sperare che arrivi domani qualcuno a risorgerti,
e non ci credi, ma puoi già alzarti,
perché è l'ora, è ora e oggi non è un giorno identico
oggi mi ricordo chi siamo, oggi non dimentico.
©Beatrice Zerbini Testo di un brano musicale (ed. Sugar Music)
9.
Ventinove settembre
L’anno scorso, proprio oggi,
mi avevi detto
ti amo;
me lo ricordo
per via della canzone,
me lo ricordo
perché era
qui a casa,
come ora,
perché c’era anche allora
la luce del mattino
e ti si vedeva il viso;
me lo ricordo perché era
già da giorni che provavi;
non lo avevi fatto prima;
me lo ricordo, come quasi
tutte
le prime volte, e perché
sono parole
che non riesco mai a scordare;
me lo ricordo
perché funzionano
così le mie sinapsi,
la mia memoria è lì:
semantica, episodica
(ma non procedurale);
come quella di quando
compie gli anni una mia vecchia
compagna della scuola
elementare,
che oramai non sento più;
un ‘ti amo’ che non so
se la mia testa scorderà:
resta lì con di, a, da,
in, con, su, per, tra, fra.
©Beatrice Zerbini Da D’amore (ed. Interno Poesia)
10.
Sono così sbagliata a volte,
non vado bene,
non sono adatta,
sono incapace e che male
che ho dentro da scansare,
che annegamento di slanci,
che intenzioni storpiate
e lo sfregio del disamore
mi deturpa e non basta
una maschera che sorride, essere
più gentile della rabbia,
piantare le unghie sulle cosce di dio,
implodere, così, torta non riuscita
che s’affloscia nel suo zucchero
inutile, digiunato;
ma è un nido l’idea
di un bene, una trincea pensare
ci sia un modo, uno esatto,
seppur non mio;
e mi rintano nel gesto semplice,
nella mira sbilenca: basterebbe
essere un’altra
per essere migliore,
facilmente, domani cambiare.
Invece tocca
la verifica del sole
il chiodo dei no
lo strascico delle attese che non so
attendere più,
inesatta ogni giorno,
ma ogni giorno sapermi
non condannata,
ben nata,
non marchiata,
messa lì, semente
in un campo di infiniti
altri semi; solamente
mettere le radici in terra,
crescere nel basso,
nel ventre dello stare,
andar bene, così banalmente,
amabile così,
per il solo atto di respirare.
©Beatrice Zerbini Testo di un brano musicale (ed. Sugar Music)