È un sabato mattina di fine marzo, di sole e vento. La Strada provinciale 33, stretta e tortuosa, risale la valle del Santerno, da Fontanelice verso Casola Valsenio, punteggiata di ciclisti che arrancano. Tutt’attorno prati, boschi e alberi che allungano rami carichi di fiori bianchi e rosa, mentre all’orizzonte si alzano le creste rocciose e le venature dei calanchi. Lara ha già preparato i taglieri: tra poco il suo “Chiosco 31”, proprio lungo la strada, aprirà e bisogna essere pronti con piadine, ficattole e affettati per chi vorrà fare una sosta. Poco più in là Stefano, dell’agriturismo “La Taverna”, si prepara a seminare del favino nero per gli animali e pensa a nuove degustazioni per i clienti, mentre Maria Antonietta, che guida la società agricola “Di tutto un po’”, controlla preoccupata le sue pecore al pascolo: un lupo solitario si è affacciato, le sta osservando dalla cima del crinale.

Lara, Stefano, Maria Antonietta, ma anche Roberto e Marco, titolari delle aziende agricole “La Valle degli Struzzi” e “Baia Volpe”: persone, insieme a tante altre, a intere famiglie, la cui vita, il cui lavoro sono indissolubilmente legati a quella strada, l’Sp 33, che collega la provincia di Bologna a quella di Ravenna attraversando l’Appennino tosco-romagnolo. “Via della Renana” o “Casolana”: nomi diversi per indicare sempre quell’arteria, travolta e spaccata dalle frane dello scorso maggio. Dieci chilometri d’asfalto improvvisamente bloccati, non più percorribili; solo rumori impressionanti, sinistri, della terra che tutt’attorno continuava a muoversi, a sbriciolarsi e venire giù.

Con la provinciale inagibile, cittadini e proprietari delle aziende sono stati costretti a usare la strada comunale, la Casolana Vecchia, nota anche come “Salita del cane” o “Strappo di Pantani”: stretta, pericolosa, con pendenze fino al venti per cento. La disperazione aumenta, giorno dopo giorno, insieme al senso d’abbandono. Fino a quando un sabato sera, a Stefano, un passato nel marketing, viene un’idea: fare un video, da diffondere in rete, coinvolgendo più persone possibili. È inizio agosto quando quel toccante appello di residenti e imprenditori di Fontanelice buca il silenzio estivo, diventando virale: “A tre mesi dall’alluvione l’Sp 33 è ancora chiusa, riapritela o fatelo fare a noi”. Voci e volti che sembrano arrivare da una zona remota, dove una natura malefica si è accanita, e invece sono a pochi chilometri da Imola. Persone che, con poche parole e gesti, raccontano l’attaccamento alla loro terra, con una forza incredibile.

La strada è stata riaperta ai primi di ottobre, “ed è tornata un po’ di normalità”. In alcuni punti ci sono ancora dei fittoni, nel tratto più verso Casola restano dei semafori. Quest’anno il “Chiosco 31” ha riaperto il 2 marzo, dopo un 2023 nero in cui Lara è riuscita a lavorare solamente tredici giorni. “Appena piove, abbiamo paura. Non siamo più tranquilli come prima”, racconta. “Chiosco 31” fa parte dell’azienda agricola di famiglia, sconvolta dalle frane: è venuto giù l’uliveto, un bosco è finito nel campo di grano. Lara mostra le foto sul cellulare, i mandorli crollati a terra. “Il primo pensiero dopo il disastro è andato a mio padre, è lui che si è sempre occupato dell’azienda. Tutto buttato giù in una notte”. Eppure, appena ha potuto, il padre ha preso una ruspa, ha smosso la frana e si è aperto un varco, per poter raggiungere uno dei campi. “Ha fatto tutto con le sue economie, gli ha dato una mano mio fratello”.

“La Taverna” di Stefano è rimasta chiusa per due mesi, ci sono stati danni alla strada d’accesso. “Avevamo appena finito di riparare i danni degli eventi di inizio maggio- racconta- ed è arrivata la seconda alluvione”. Ma Stefano e i suoi non hanno mollato: a luglio, in accordo con il Comune, hanno attivato un servizio navetta per andare a prendere i clienti a Fontanelice e portarli su, passando per la vecchia strada comunale, all’agriturismo, dove si alleva e si coltiva in regime biologico. Bovini da carne, capre, conigli, galline, “dal 2021 abbiamo anche quattro cavalli, vogliamo sviluppare il turismo equestre”. E poi quei quattro ettari di terreni franati, tra castagneti, boschi, seminativi, “che abbiamo cercato di sistemare per poter ripartire. Tutto fatto con le nostre forze, la maggior parte del sostegno economico è arrivato da donazioni di amici e associazioni”.

In località Posseggio, a poche centinaia di metri dalla Sp 33, un grosso smottamento ha sollevato pavimento e parte esterna dell’ovile di Maria Antonietta, crepando la sua casa. Tutti gli albicocchi sono sprofondati nella terra. “Il 16 maggio si è aperta una voragine a pochi centimetri dai miei piedi. Siamo scappati con quattro stracci, abbiamo dovuto evacuare le pecore”. Poi la ripartenza, un passo alla volta, iniziando dal lavoro. Maria Antonietta gestisce due punti vendita, con i prodotti dell’azienda: “Ci siamo rimessi in piedi con i nostri mezzi, ora speriamo di poter accedere a qualche aiuto”.

Dopo la batosta del Covid, quella dell’alluvione. Eppure, Lara e Stefano sono pronti per la stagione estiva, hanno una gran voglia di fare e lavorare. Ma le istituzioni, chiedono, dovrebbero fare di più, garantire una manutenzione continua, più cura del territorio, per far fronte a un clima mutato, dove si alternano “lunghi periodi di secca a scrosci d’acqua che causano danni enormi”. E poi i collegamenti, “ci sono ancora tante strade percorribili solo a senso alternato, bisogna sistemarle”. E gli aiuti alle aziende, che non arrivano.

Lara e Stefano raccontano come proprio lì c’è stato il primo morto legato ai tragici eventi di maggio: un uomo di settantotto anni, sepolto nel sonno da una frana con l’intera casa, su un pendio in via Casolana. Il ricordo di quei giorni tremendi è ancora grande, “abbiamo paura che si riattivi una qualche frana, che la strada venga di nuovo chiusa. Che il terreno torni a cedere sotto i piedi, che le aziende si sgretolino. Eppure, nonostante questo, dobbiamo ritenerci fortunati: c’è gente che non ha più casa, macchina, animali. Niente”. L’ultima parola a Maria Antonietta: “La natura ha fatto un lavoro indescrivibile, sembrava un film. Però adesso siamo qua, vivi. E questo è ciò che importa”.