Emilia e Romagna sono divise dal Sillaro, il fiume dove d’estate andavamo a fare il bagno. I miei nonni e i miei genitori erano della sponda emiliana: Castel San Pietro. Ma dei romagnoli, di là dal fiume, avevano molte caratteristiche, soprattutto mia madre. Che in famiglia prendevamo in giro proprio per il “sangue romagnolo” del libro Cuore, di cui lei andava fiera. Si commuoveva per ogni atto di coraggio, era sentimentale, generosa, impulsiva. Questo libro non avrebbe potuto nemmeno sfogliarlo tanto si sarebbe impressionata e commossa. Il Sillaro è uno dei tanti fiumi straripati per le alluvioni di maggio 2023 che hanno causato morti, migliaia di sfollati, giganteschi danni economici.

Insieme alle riflessioni sulle cause, i legami o meno con il cambiamento climatico, su quello che sarebbe potuto andare diversamente e quello che ancora resta da fare per rimediare ai danni, ciò che resta sono i ricordi di giorni pieni non solo di dolore e difficoltà ma anche di solidarietà, altruismo e umanità.

Questo piccolo libro di ritratti, incontri, storie, serve per ricordare. Insieme a Daniela, la direttrice della Biblioteca comunale Manfrediana di Faenza, che come tutti racconta quanto si è dovuto “pulire, pulire, pulire. Eravamo tutti al lavoro, a rimboccarci le maniche e cercare di mettere in salvo i libri che non si erano bagnati e poi spostare tutti quelli bagnati e infangati, pulire i locali, pulire tutto. Abbiamo lavorato per settimane ininterrotte, senza conoscere sabato e domenica, con tanti volontari, persone arrivate immediatamente senza che nessuno le chiamasse”.

Insieme a Cristina, “Quella là coi cani” della copertina, che ha fatto centottanta chilometri a piedi in una settimana, su e giù dal suo casolare sopra Modigliana, per salvare uno alla volta i suoi trenta cani, le galline, il gallo.

Insieme a Tommaso, lo psicologo delle emergenze: “Ho partecipato alle missioni di salvataggio al largo di Lampedusa e in Libia, ho già vissuto sul campo esperienze emergenziali e non era la prima volta che mi trovavo nel dramma e nel disagio spinto. Ma è diverso quando la tragedia coinvolge il tuo paese, i tuoi amici, chi conosci da una vita… Ricevevo molte chiamate, c’erano persone spaventate che potevano commettere anche gesti pericolosi, come lanciarsi in acqua per fuggire dalle abitazioni, altri erano bloccati in casa e rimanevo al telefono con loro, per non lasciarli soli nel momento dei soccorsi”, ricorda. “C’erano le famiglie terrorizzate per i propri cari, gli sfollati nei centri di accoglienza che presentavano stati dissociativi e vissuti di scompenso. C’era chi pensava al suicidio”.

Insieme a Elisa, la ceramista: “Qui nel laboratorio l’acqua è arrivata a più di due metri, quando si è ritirata sembrava tutto bombardato. C’erano quindici centimetri di fango dappertutto, denso e pesante come cemento… ma ho imparato a non pensarci troppo, a prendere decisioni importanti in maniera istintiva e a lasciar andare quando era necessario farlo, ad accettare di gettare via qualcosa perché se avessi cercato di salvare tutto oggi sarei ancora qui a pulire. Ho imparato a dare valore all’essenziale, è questo che ho imparato”.

Con Alice, che ha dieci anni, con l’ostetrica che era incinta e ora nella foto di Marco Onofri fissa l’obiettivo col “figlio dell’alluvione” in braccio. Coi due volontari che si sono conosciuti e innamorati spalando il fango. E con tante, tante altre persone che ricordano e raccontano quei giorni.

Quando Marco Onofri ha fotografato il cagnolino di Elisa, l’ostetrica, sul sesto gradino delle scale della loro casa, forse non sapeva che l’acqua era arrivata proprio fino a lì. Ma ha sentito qualcosa e ha scattato. Così come ha chiesto a Cristina e Andrea, i due volontari che si sono fidanzati a Forlì, di portarlo nel magazzino dove si sono incontrati per la prima volta. In queste immagini e in queste storie ci sono ancora le macchie di umidità, il disagio, le ombre di quei giorni, e anche certi luminosi sorrisi.