Una cosa sola
A pulire le strade della città, fra i burdel de paciug, c’era anche Andrea, difensore del Cesena Calcio, insieme ai suoi compagni di squadra. Per ridare indietro un po’ del tanto ricevuto ogni domenica dalle gradinate e dalla Curva Mare, perché poi si diventa un tutt’uno. E oggi, un anno dopo, la vittoria del campionato, che è la vittoria di tutti. Proprio no, non sono mai solo storie di pallone
Li vedevi e li sentivi a fine giornata, chi burdel de paciug, gli angeli del fango con le ali fatte di piadina, quando il sole scendeva sulle strade che sembrava non volessero pulirsi mai: giù le pale, schiena gobba e mani sui fianchi per la fatica, ma testa sempre alta anche quando il cuore pesava come un macigno. Perché, per scacciare via i pensieri, ai romagnoli in fondo basta un Ah dì, e dove la trovi altra gente che ti riassume in quattro lettere il fatalismo propositivo di chi sa che su certe cose non puoi farci nulla. Se non rimboccarti le maniche.
Quando poi nemmeno gli Ah dì erano abbastanza, i romagnoli si aggrappavano al loro vero inno nazionale: la nostalgia del passato, la notte stellata, la bella e il casolare. Due parole che pronunciarle senza intonare il ritmo di Raoul Casadei è impossibile: Romagna mia.
Nel maggio di un anno fa, a spalare tra le strade di Cesena, tra i volontari che la sera si sarebbero poi ritrovati a cantare, c’era anche Andrea, giocatore del Cesena Calcio. Insieme ai suoi compagni di squadra. Come tanti altri, con la tuta sporca di fango e lo scopettone tira acqua in mano. “È stata un’idea di tutto il gruppo: come squadra abbiamo deciso di andare ad aiutare quelle persone che poi alla fine tifavano per noi allo stadio la settimana prima. In tanti, io compreso, ci siamo trovati in una cantina, in un box, in un garage a spalare vicino a chi poi abbiamo visto in curva o in gradinata. Era il minimo poter ricambiare: volevamo restituire l’amore che ci davano, è stato un gesto voluto fortemente da ogni singolo giocatore”.
Perché Andrea è uno che Romagna mia la canta a squarciagola da ben prima dell’alluvione: spalla a spalla con gli altri, titolari e riserve, che non ci son differenze quando esci dagli spogliatoi col simbolo del Cavalluccio cucito sul cuore, davanti alle migliaia di tifosi della Curva Mare dello stadio bianconero. “Già dall’inizio dell’anno scorso si era creata questa tradizione a fine partita, ma dopo l’alluvione siamo davvero diventati un tutt’uno noi squadra e i tifosi. Questa unione poi, con le vittorie di quest’anno, si è sempre più accesa e adesso, quando guardi quella gente che sta lì per te, percepisci proprio dal campo che siamo una cosa sola”.
Andrea in Romagna non ci è nato, ma a Cesena ha preso la patente, e ride quando gli fai presente che forse è stata una fortuna fare lezione dentro la Secante invece che sul Grande raccordo anulare della sua Roma. “Tutte le prime esperienze da grande le ho fatte qui a Cesena, sento la Romagna casa mia: spero che questo viaggio continui il più a lungo possibile, perché è bello ricevere tutto questo bene”.
Andrea in Romagna ci è arrivato, giovanissimo, per lavoro. Il suo, appunto, è il calciatore: numero 15 sulla schiena, Andrea da sette stagioni guida da difensore centrale la retroguardia dei bianconeri. E questo, in una terra dove si respirano pallone e strutto, significa essere più o meno la seconda istituzione cittadina dopo il sindaco. “Qui ti senti di giocare in serie A sempre: per lo stadio, per il pubblico, per quello che respiri in città la settimana dopo la partita. È una piazza importante, che ti entra dentro perché ti vuole bene e lo percepisci”.
Il Cesena Calcio sei anni fa ha vissuto uno dei momenti più bui di una storia lunga oltre ottant’anni, un fallimento che ha costretto a ripartire dai dilettanti la società più titolata della Romagna con tredici stagioni in Serie A. La risposta della città e dei tifosi è stata una e unica: ‘UNITI RISORGEREMO’, un messaggio lanciato dagli spalti a caratteri cubitali. Mentre tanti giocatori si sono accasati altrove, Andrea, che era arrivato pochi mesi prima e non aveva ancora provato l’emozione di vestire quella maglia in cadetteria, decide invece di restare, con l’obiettivo di riportare la squadra dove gli spetta.
La città di Cesena, il dolore e la paura più grandi li ha provati dodici mesi fa, nella notte tra il 16 e il 17 di maggio: l’acqua e il fango che invadono strade e case, il caos delle sirene e degli allarmi che impazziscono, gli elicotteri in cielo a salvare donne e uomini scappati sui tetti, la conta dei dispersi e il pianto per le vittime.
Alla prima partita in casa dopo l’alluvione, per tutta la Curva si sviluppa una coreografia gigantesca, lunga decine di metri e sorretta da centinaia di persone. Non ci poteva essere che una frase, quella: “UNITI RISORGEREMO”. “Non ne sapevamo nulla. Entrare dal sottopassaggio e vedere quella scritta in quel momento son cose che mi ricorderò per sempre. Poi purtroppo non siamo riusciti a regalare alla città quella gioia, però già dall’inizio di questa stagione abbiamo continuato a sentire quella forza che ci univa”.
Dodici mesi dopo, Cesena è tornata a correre ed è nel pieno della ricostruzione, con decine di cantieri e l’obiettivo di lasciarsi alle spalle l’alluvione per il 2026. Dodici mesi dopo, il Cesena Calcio ha compiuto la sua missione vincendo il campionato di Lega Pro con la promozione in B e registrando il numero più alto di tifosi allo stadio in tutta la categoria.
Perché Cesena e il Cesena sono, appunto, una cosa sola. E Andrea lo sa bene: “Personalmente ci sono tante emozioni che ho vissuto: chiudere questo cerchio, e farlo proprio quest’anno, è stato bellissimo, perché tutta questa gente se lo merita, ancora di più dopo quello che ha sofferto per l’alluvione”.