Andrea Agostini, amico e collaboratore del Pirata, oggi è il direttore operativo di UAE Team Emirates, la squadra del fenomeno sloveno. Il suo racconto in vista del Grand Départ del Tour con l’Emilia-Romagna protagonista

Andrea Agostini

“Quando tagliò il traguardo, mi aveva visto in mezzo alla folla, così mi è venuto incontro e mi ha detto in dialetto: ‘T’é vest quel co fat?’, ‘Hai visto quello che ho fatto?’. È stata una cosa impressionante, mi ricordo ancora la pelle d'oca”.

Andrea Agostini oggi è il direttore operativo di UAE Team Emirates, la squadra di Tadej Pogacar, vincitore dell’ultimo Giro d’Italia (due vittorie al Tour de France nel suo palmares e tra i favoriti della Grande Boucle che sta per iniziare, con la partenza in Emilia-Romagna), ma nel luglio 1998 era a Les Deux Alpes quando Marco Pantani fece l’impresa. Di Pantani, Agostini è stato amico, sin dall’adolescenza, e collaboratore nel 1999.

“Quando scatta Pantani è meglio lasciar perdere”. Quando la voce di Adriano De Zan sale di tono, allora vuol dire che nella tappa sta per accadere qualcosa. “Pantani ha fatto il vuoto”, aggiunge dopo qualche minuto il telecronista. È il 27 luglio 1998, quindici giorni prima la Francia di Zinedine Zidane ha vinto i Mondiali di calcio battendo il Brasile di Ronaldo. Jan Ullrich è la maglia gialla e ha tre minuti di vantaggio su Pantani. Piove fortissimo, il segnale delle telecamere va e viene. Marco Pantani scatta a sette chilometri dalla vetta del Galibier, cinquanta dall’arrivo a Les Deux Alpes, e inizia la sua fuga macinando i chilometri che lo portano al traguardo con nove minuti di vantaggio su Ullrich ipotecando così la vittoria al Tour.

Nel ciclismo la geografia non è solo questione di città da attraversare o cime da scalare. Diventa storia. Nella geografia del Tour de France, poi, le montagne sono le grandi protagoniste di sfide divenute epiche. Proprio come la fuga di Pantani nel 1998.

Andrea e Marco sono cresciuti a Cesenatico (“Vedere partire il Tour dalla mia città natale è qualcosa di straordinario”, ammette). Una vita per la bicicletta per entrambi. Oggi Agostini è l’unico italiano, anzi emiliano-romagnolo come tiene a precisare durante l’intervista, dell’UAE Team Emirates, che conta persone di ventuno nazionalità diverse. Alla vigilia del Tour de France, per la prima volta in Italia, parla del suo amico Marco, del talento di Tadej Pogacar, il giovane ciclista sloveno da molti considerato il nuovo Cannibale come lo era stato Eddy Merckx tra gli anni Sessanta e Settanta, e di come ci si prepara a un appuntamento come il Tour.

Il Tour de France farà tappa nei luoghi di Pantani. A un ragazzo di oggi come proveresti a raccontare chi era Pantani per il ciclismo?

Pantani per un certo periodo della mia vita, della nostra vita, è stato il ciclismo, nel senso che ha riportato in auge dal 1994 fino al 1999 il ciclismo in Italia, dove tutti si ispiravano a lui come campione. Marco è stato il ciclismo non solo per l'Italia, ma per un bel pezzo del mondo. Le sue imprese hanno ispirato veramente tantissime persone. Era un po’ come la seconda manche di Tomba che ci si fermava e si guardava.

Tadej Pogacar a conclusione del Giro d'Italia ha detto che “il tifo degli italiani è pazzesco”. Ma è cambiato il tifo di chi segue il ciclismo?

No, non credo sia cambiato, credo sia più o meno appassionato, nel senso che il tifoso del ciclismo, il tifoso in generale, si appassiona ai personaggi che in quel momento sono quel tipo di sport. Credo che Tadej Pogacar abbia ereditato in Italia, un po’ nel mondo, ma soprattutto in Italia, parte di quei tifosi che erano di Marco Pantani, per questo suo modo di correre un po’ alla garibaldina, poco calcolato.

Cosa significa per un ciclista, anche molto giovane come Pogacar, affrontare il Tour? Come diceva Gianni Mura, il Tour è “un’avventura umana”?

Gianni Mura aveva questa visione del Tour che io condivido. È un'avventura umana, non solo per il ciclista, ma anche per chi ci lavora. Negli anni è cambiato tantissimo, all'inizio era un po’ più romantico. Quando abbiamo iniziato noi, mi ricordo che Gianni scriveva ancora su quella macchina da scrivere in sala stampa e non c'erano i Gps, si iniziava con le email, con internet. In quegli anni era veramente un'avventura umana. Poi, col passare degli anni, si è un pochino più tutto omologato. Per Tadej il Tour de France è sicuramente la corsa più importante al mondo, perché lo dicono i numeri. Per i ragazzi che ci partecipano sicuramente vale la stagione, vale una carriera.

Tutti aspettano il Tour in Emilia-Romagna. Quale sarà la risposta delle città al passaggio dei ciclisti?

Avendo vissuto tanti Tour de France, il mio primo è stato nel 1999 e, sapendo che mole sposta anche in termini di persone, sono curioso di vedere quale sarà la risposta dell'Italia. Se veramente avrà la percezione dell'evento planetario che è o penserà che magari è poco più di un Giro d'Italia. La mia sensazione è che ci sarà una grandissima risposta e soprattutto da noi in Emilia-Romagna. Conosco centinaia di amici che si sono già prenotati sul Colle del Barbotto e si stanno litigando i posti proprio per piantare tende o andare su quel camper o fermarsi in qualche agriturismo per vedere il passaggio.

Dal punto di vista tecnico le prime tappe del Tour possono riservarci qualche sorpresa o saranno abbastanza tranquille?

Non saranno tappe banali, tant'è che quasi tutti i pretendenti alla vittoria sono venuti già a fare la ricognizione e i miei ragazzi arriveranno un giorno prima, si fermeranno a Bagno di Romagna e da lì faranno in bicicletta parte proprio della prima tappa, perché ci sono alcune insidie dal punto di vista tecnico. Sono state disegnate molto bene, ma lo stesso quella che arriverà a Bologna perché, nonostante sia preceduta da tantissimi chilometri di pianura, poi i due passaggi su San Luca saranno comunque determinanti. Non farà sfracelli dal punto di vista della classifica generale, ma sono sicuro che vedremo davanti nelle prime due tappe parte dei contendenti alla vittoria finale del Tour.

Come si affrontano gli ultimi giorni prima della gara?

La preparazione parte molto da lontano, già dall'inverno. Si formano i gruppi di lavoro per determinati appuntamenti importanti, quindi ovviamente il Giro d'Italia, il Tour de France, individuando non solo i corridori, ma anche lo staff, meccanici, massaggiatori e direttori sportivi. Poi, avvicinandosi piano piano all'evento si intensificano le riunioni fino a quando arriviamo il mercoledì nel luogo dove parte la corsa. Si rifiniscono gli ultimi giorni tutte le preparazioni. Sono otto i ragazzi che partecipano per ogni team, ma sono circa una trentina di persone oltre ai corridori che ruotano attorno a questi, durante una corsa importante come il Tour de France.

Pantani, il ciclista che veniva dal mare

Marco, il ciclista che veniva dal mare. Pantani, il Pirata che scalava i tornanti. Marco Pantani ha corso cinque Tour de France e ne ha vinto uno nel 1998, l’anno della doppietta dopo il Giro d’Italia.

“M’illumino di Pantani, che arriva sotto l'acqua con dietro, come lucciole grasse, i fari ballonzolanti delle grosse moto. Ma sì, illuminiamoci un po' tutti di Pantani” scrive Gianni Mura all’indomani dell’impresa sul Galibier quando ipoteca la vittoria finale.

Una carriera fatta di salite e discese, di gloria e dolore, di sfrontatezza e rabbia.

Domenica 30 giugno il Tour, per la prima volta in Italia, renderà omaggio a Marco Pantani, che insieme a Gino Bartali e Fausto Coppi, è uno dei campioni italiani celebrati dal Grand Départ, in oltre cento anni di Tour sono state 55 le città in tutta Europa toccate da questo evento. La tappa Cesenatico-Bologna, 199 km dalla Romagna alla via Emilia, attraverserà alcune delle strade che lo hanno visto allenarsi e crescere come ciclista. Presenza del Tour in Emilia-Romagna che ricorderà anche Ercole Baldini, il ‘Treno di Forlì’.

10 cose da sapere sul Tour

A cura di: Mara Cinquepalmi, Paola Fedriga, Stefano Asprea